Blatte

Hikikomori o ragazzi fantasma, così sono chiamati i giovani che non lavorano, non studiano finendo per rinchiudersi in casa e rifiutando qualsiasi tipo di contatto con l’esterno. Alex era uno di loro. Ma la sua non è una famiglia tradizionale. La madre, Gwen, in seguito alla morte del primo marito, ha sposato il collega Carl, già padre di Olivia, una ragazza dell’età di Alex. Ma Alex non accetta la nuova vita. O non riesce ad accettarla? La sua scelta sarà fatale: lo porterà alla morte per inedia. Una fine assurda e imponderabile per una famiglia benestante del mondo occidentale. Com’è stato possibile? A queste e altre domande dovranno rispondere Gwen, Carl e Olivia durante una diretta televisiva in cui verranno pressati dalla voce di un’intervistatrice tanto maliziosa quanto eterea, che sembra non lasciare nulla al caso, nemmeno i silenzi. Fra rimpianti e sensi di colpa, fra liti furibonde e confessioni glaciali seguiranno la loro parabola di negazione del dolore, si libereranno delle loro pulsioni distruttive, prepareranno il futuro cancellando il passato. Sullo sfondo, come per evocazione o apparizione, Alex vive la sua avventura eroicomica in un mondo fantastico alla scoperta di una popolazione sconosciuta: le Blatte, piccoli esseri che prosperano al di là del tempo e degli eventi nutrendosi delle macerie. Il suo percorso lo porterà a far rivivere un passato che non tornerà mai più, rivelando a tutti noi il prezzo di questa debolezza. Tanti echi letterari da Shakespeare, Müller, Kafka, Beckett per un testo che ha in Amleto il suo specchio perfetto. Un tema, quello del divario generazionale, che la crisi economica ha reso ancora più profondo e insondabile, oscuro, fertile di istanze disumane, che trova nella rimozione la sua soluzione ideale per perpetrare i valori del benessere. Per questo la scelta di attori giovani ma di alta formazione per uno spettacolo dalla forte impronta crossmediale che ricerca un’innovazione scenica grazie anche ai disegni del graphic-novelist Alberto Ponticelli, alle tracce elettroniche di Daemon Tapes e alle produzioni video di Grey Ledder curate da Alessandro Pisani. Una squadra eterogenea di artisti guidati in sinergia creativa da Girolamo Lucania per portare a compimento una produzione che vuole fare del teatro il luogo di confronto dei diversi linguaggi del liveshow.
Teatro Decomposto

Qualunque spazio è luogo di rappresentazione. Qualunque luogo è permeabile di una ritualità da ricostituire. Tale processo è fallimentare in partenza, ma necessario. Lo spazio di rappresentazione è dunque un tempio costituito da altari mobili, in cui il tentativo paradossale è quello di raccontare una storia che non è quella narrata, bensì quella agita in relazione costante, con gesti, movimenti, suoni da provare ogni volta, alla ricerca di un’unicità di comunione: il tentativo di ricreare un’esperienza comunitaria, rituale, e allo stesso tempo effimera e incostante.
Nel 1992 Matei Vișniec scrive il Teatro decomposto o l’uomo pattumiera, una drammaturgia composta da monologhi e dialoghi apparentemente slegati fra di loro, ma che nel loro insieme rappresentano un’umanità frammentata, fatta di solitudini, impotenze, ipocrisie, alla ricerca di un’anima individuale distante e disgregata dal resto della – inesistente – comunità. I testi del Teatro decomposto sono paradossali, adottano differenti stili e si permeano ognuno della propria unicità.
Decomporre il teatro, alla ricerca del rito frammentato in partenza, ma necessario. Lo spazio che accoglie il lavoro viene ripensato a ogni diversa rappresentazione, decomponendo e frammentando il palco e la platea: una serie di “stazioni” vengono create in diversi punti del luogo. In ogni stazione si compie un rito rappresentativo, per rendere sacro e privilegiato quel punto. Al termine della singola rappresentazione, la stazione è diventata un altare riempito dell’esperienza che lì si è esperita. Al termine dell’intero lavoro, lo spazio teatrale sarà invaso cosÏ da diversi Altari, che raccontano un rito frammentato e sincero. Lo spazio, interamente, parlerà dunque, avrà un suo senso altro che si è vissuto insieme, e che verrà distrutto per essere riaffrontato in modo diverso i giorni successivi o nelle successive rappresentazioni. Gli attori, seguendo questa linea, conoscono tutto il testo e non sanno cosa rappresenteranno quel giorno, né chi rappresenterà il singolo microdramma. In tal senso il direttore/regista è presente in sala e partecipa alla creazione in diretta del lavoro.